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Against the Odds, cap. 20

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“Let's kiss while all the stars are falling down 

 Tonight we live like no one is around 

 Forget the lies that we were told 

 Now is the only truth we know 

 Tonight we fly while the stars are falling down 

 We're falling down”

 

 (Hammock, “Let’s Kiss While All the Stars Are Falling Down”)




 [x]


 

 

 

Nessuno sapeva cos’aspettarsi una volta che Shepard ebbe fatto ritorno sulla Normandy.

L’equipaggio aveva provato a fiondarsi nell’hangar principale, in attesa che la sua navetta rientrasse, ma Miranda aveva espressamente richiesto la sola presenza di Mordin e della Chakwas, ordinando a tutti gli altri di tornare nei propri alloggi o, tutt’al più, di aspettare notizie in sala mensa. Le condizioni di Shepard erano sconosciute, per cui era opportuno prepararsi al peggio e con tutta la tranquillità possibile.

Quando la navetta fu dentro, la Normandy era già in procinto di compiere il salto iperluce, col risultato che la Chakwas rischiò seriamente di finire a carponi sul pavimento, se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Mordin. Una volta ritrovato l’equilibrio, i tre corsero in direzione del mezzo e aspettarono che il portellone si sollevasse, poi osservarono Shepard uscirne fuori con un balzo. Miranda cercò di squadrare il suo volto, alla ricerca di un indizio qualunque, mentre il Salarian era già pronto col suo factotum per una scansione completa.

“Tornate alle vostre postazioni”, sibilò Shepard, lanciando con rabbia il suo casco per terra.

La Chakwas e Mordin si scambiarono un’occhiata preoccupata, Miranda invece si fece avanti assumendo un’espressione piuttosto minacciosa.

“Abbandoni la nave per due giorni e questo è tutto quello che sai dire?”, domandò, con un tono palesemente accusatorio.

Shepard sollevò finalmente gli occhi, incontrando quelli di lei.

“Fatti da parte, Lawson”.

“No. Esigo una spiegazione”.

Shepard dovette distogliere lo sguardo per evitare di avventarsi su di lei a mani nude. Trovare quello bonario della Chakwas, per un istante, ebbe il miracoloso effetto di calmarla.

“L’avrai a tempo debito. Ora, per favore…”

“Shepard, stavamo rischiando tutti…”

“Miranda!”, esclamò lei, sentendo la rabbia farsi di nuovo prepotente, “Non stavate rischiando proprio nulla. Non vi ho chiesto di aspettarmi, e sono sicura che EDI e Moreau sapessero perfettamente cosa stava succedendo, almeno un’ora prima dell’impatto. E adesso fammi il piacere, togliti di mezzo…”

Miranda la guardò sbalordita, senz’avere il coraggio di replicare. Scopriva solo ora che il suo stesso equipaggio le aveva nascosto dei dettagli terribilmente importanti, e tutto questo soltanto per la speranza che lei riuscisse a contattarli in tempo.

Si sentì oltraggiata, delusa… iniziò a dubitare perfino del suo ruolo all’interno di quella nave. Aveva sempre considerato Shepard come uno strumento nelle mani di Cerberus… nelle sue mani, persino, e invece adesso si rendeva dolorosamente conto che lo strumento era sempre stato lei.

Decise a quel punto di prendersi la serata per sé, rinchiudendosi nella sua cabina più in fretta che poté, spegnendo ogni dispositivo, rifiutando qualunque visita. Sapeva che Jacob sarebbe stato l’unico a preoccuparsi per lei, e questo, se possibile, la faceva infuriare ancora di più. L’Uomo Misterioso avrebbe tentato di contattarla per l’ennesima volta, ma stavolta voleva che fosse Shepard ad esporsi in prima persona, giustificando quei due giorni di buio totale… era stanca di lavarle sempre i panni sporchi, e per cosa, poi? Per ritrovarsi con un equipaggio che tramava alle sue spalle, come se fosse lei il nemico da contrastare, come se tutte le sue azioni non fossero state dettate solo ed esclusivamente dal dovere di proteggerlo, quell’equipaggio.

Quella notte si addormentò con la rabbia a stringerle i denti, e sebbene avesse voluto piangere, la sua dignità glielo impedì… e lei fu grata a se stessa, per essere riuscita a risparmiarsi almeno quell’ultimo smacco.

 

 

 

Neppure Thane sapeva cos’aspettarsi, una volta che Shepard rientrò a bordo della Normandy, ma ciò che proprio non riuscì a prevedere fu l’attesa snervante che dovette sopportare prima di vederla. Erano passate tre ore dall’attraversamento del portale e le chiacchiere provenienti dalla sala mensa erano diminuite fino a spegnersi totalmente. L’orologio di bordo segnava le 23 e la notte iniziava a farsi sentire, portandosi dietro un insostenibile carico di silenzio.

“Shepard ha richiesto espressamente di non essere disturbata”. Questa era la frase che EDI aveva rifilato a chiunque avesse chiesto il permesso di raggiungerla in cabina, dopo almeno un’ora passata a farsi visitare dalla Chakwas. Thane l’aveva già sentita cinque volte quella frase, durante la serata. Se solo lei avesse saputo ciò che aveva provato in quei due giorni, era sicuro che non gli avrebbe mai impedito di vederla…

Cercò di convincersi che probabilmente fosse solo sfinita e che per questo motivo avesse preferito addormentarsi immediatamente, così da poter essere pienamente operativa il giorno dopo, ma ogni volta che tentava di giustificarla, un’altra parte di sé gli faceva notare con cinismo che quell’ipotesi non aveva senso. Avrebbe almeno potuto inviargli un messaggio, o comunicargli qualcosa attraverso EDI… perché sparire così, senza una parola?

 

Ormai tutta la squadra era a conoscenza di ciò che era successo, ma nessuno osò formulare ipotesi, almeno non ad alta voce. Garrus continuava a sostenere come, secondo lui, lei non fosse riuscita a sventare un attacco terroristico, e questo avrebbe sicuramente motivato il suo volersi isolare dal mondo, ma che senso avrebbe avuto inviare un solo soldato per un’operazione così delicata?

Fra l’impazienza di ricevere sue notizie e quella di scoprire cosa fosse realmente successo su quell’asteroide, Thane non provò neanche a stirarsi sulla sua branda per cercare di dormire. Passò le ore successive tirando a lucido le proprie armi, anche quelle che non aveva mai avuto l’occasione di usare e, quando terminarono, pensò di uscire a preparare una tazza di thè. Questo solo dopo l’ennesima richiesta rifiutata da EDI.

Ciò che non si sarebbe aspettato, neanche stavolta, fu vedere il portellone della sua cabina aprirsi di fronte a sé, e Shepard immediatamente dietro. Non ebbe il tempo di aprire bocca che lei era già su di lui, aveva intrecciato le braccia intorno al suo collo, la testa seppellita nell’incavo della sua spalla, quasi a voler scomparire. La strinse forte, affondando una mano nei suoi capelli, cingendole la schiena con l’altra… e bastò questo per placare un’inquietudine che durava da troppi giorni, bastò sentire di nuovo il suo profumo e il suono del suo respiro.

 

Quando lei si distaccò leggermente per poterlo guardare negli occhi e regalargli un minuscolo sorriso, lui notò un profondo taglio sull’arcata sopraccigliare sinistra e un ematoma sulla mandibola destra. Non lesse altro che stanchezza nei suoi occhi, stanchezza mista a rassegnazione e… sollievo, forse, per essere finalmente a casa. Nessuno dei due ebbe il coraggio di proferire parola, almeno per i primi minuti. Semplicemente lui la prese per mano e la condusse davanti alla sua branda, sedendosi per consentirle di sdraiarsi e poggiare la testa sulle sue gambe. Poi spense le luci, così che restò solo l’azzurro del Drive Core a definire i loro contorni nel buio.

 

“Mi ricorda quella sera…”, esordì lei con voce roca, mentre lui la copriva con un plaid. Cercò poi la sua mano sotto la coperta, per stringerla fra le sue dita e accarezzarne il dorso con un pollice.

“Possiamo chiedere a Kasumi di procurarci un’altra di quelle bottiglie”, rispose lui, sorridendo lievemente nella penombra.

“O possiamo semplicemente fingere di essere ubriachi, così da evitare l’odioso mal di testa del giorno dopo”, rispose lei, coprendo la sua mano con l’altra rimasta libera.

“Ancora meglio”.

“Ho intenzione di riunire l’equipaggio domani per fornire un resoconto di quello che è accaduto in questi giorni, ma ci tenevo a parlarne prima con te”, disse poi lei di colpo, come se fino a quel momento avesse trattenuto tutto dentro fino a scoppiare. “Voglio scusarmi, e giustificare le mie azioni, ma tu… Ti ho pensato tanto”, proseguì, respirando profondamente.

“Non devi giustificarti con me, Siha”, rispose lui dopo un attimo di silenzio. “So che hai agito per il meglio, non dubiterei mai del tuo giudizio”.

Lei scosse la testa lievemente e lui poté sentire i suoi capelli solleticare le sue gambe, come minuscoli serpenti.

“Non voglio farti le mie scuse da Comandante, Thane”.

Riuscì a dire solo questo, prima di bloccarsi, preda delle sue stesse emozioni.

“Ugualmente, non è necessario”, ripeté lui, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte.

“Lo è. Perché se fossi sparita nel nulla…”

“Ma sei qui”.

“Ho rischiato di morire… più di una volta. Non so quale… divinità o entità mi abbiano fatta risvegliare, dopo due giorni di sedativi. Una parte di me, credo, si era già rassegnata a restare per sempre su quell’asteroide… non so quante altre volte riuscirò a scampare alla morte”, disse lei con angoscia, perfettamente consapevole che quelle parole l’avrebbero ferito, ma incapace di trattenere ancora altro dolore.

“Vuoi scusarti con me… perché hai rischiato di non farcela?”, domandò lui interdetto.

“Sì. Perché…”, lei scosse di nuovo la testa, scacciando ciò che l’istinto tornava a suggerirle con prepotenza. “Perché hai riposto tanta fiducia in me, e non posso abbandonarti. Non posso abbandonare te o il mio equipaggio proprio adesso”.

Lui prese ad accarezzarle i capelli, sciogliendo il silenzio con un sospiro sommesso.

“Dovrei essere io a scusarmi. Dovrebbe essere il tuo equipaggio a scusarsi, per non essere stati con te quando ne avevi bisogno”.

“No. Voi non avevate nessun ruolo in questo. Ho deciso io di accettare di svolgere questa missione in solitaria, non voi. Per conto dell’Alleanza, oltretutto. E nessuno di voi verrà mai coinvolto, nessuno di voi doveva sapere”.

“E’ finita adesso…”

“Sono morte più di trecentomila persone in quel sistema… non sarà mai finita”, gemette lei stancamente.

Gli raccontò tutto ciò che era successo, senza sorvolare su alcun dettaglio, e fu solo quando iniziò a parlare dell’attivazione del Progetto che lui la fermò, asciugando con una mano la lacrima che stava scivolando lungo la sua guancia.

“Non avevi scelta, e anche se l’avessi avuta, avresti scelto per il meglio”.

Lei annuì, sapendo nel profondo che quelle parole erano vere. Non si pentiva, come avrebbe potuto? Aveva visto ciò che i Razziatori erano in procinto di compiere, in quella visione… sapeva che il suo istinto aveva ragione, così come l’aveva avuta su Eden Prime, ma sentirselo ripetere anche da lui fu quantomeno confortante.

“Mentre tentavo di seminare quelle guardie ho pensato a te… immaginando quante volte tu ti sia ritrovato in una situazione simile in passato. Ed è stato solo quando ho realizzato che al tuo ritorno tu non avevi nessuno ad aspettarti che mi sono decisa a lasciare la mia cabina stasera…”, confessò con un pizzico di vergogna.

“Beh, sono contento che il mio passato deprimente ti abbia portato qui da me”, rispose lui, con un tono volutamente scherzoso.

Lei rispose con una debole risata, prima di stringergli le mani sotto alla coperta.

“Davvero, non so come tu abbia fatto per tutti quegli anni…”

“Quando non hai motivo di vivere, non c’è niente che possa farti male”.

“Tu… non ti senti così adesso, vero?”

Stavolta fu lui a stringerle le mani, come a rimarcare il concetto che avrebbe espresso l’attimo dopo.

“Non potrei sentirmi più diversamente, Siha”.

Lei sorrise. Un altro di quei sorrisi che forse lui non avrebbe visto con gli occhi, ma che sentì chiaramente a pelle, come se da quel sorriso si fosse irradiato un calore in grado di riscaldargli il cuore.

“Pensi di volerti addormentare, prima o poi?”, le chiese poi, imitando un tono di rimprovero, lo stesso tipico della Chakwas.

“Sì, ma non senza di te… mai più senza di te”.

 

 

 

L’equipaggio si era riunito in mattinata intorno al grande tavolo ovoidale della sala briefing, su richiesta di Shepard. Alcuni, come Grunt e Jack, manifestavano chiaramente una profonda insofferenza; aspettavano già da una ventina di minuti e ben poco interessava loro di conoscere i dettagli della missione di cui sicuramente Shepard avrebbe voluto discutere. In fondo non li riguardava, e sapere che il Comandante avesse fatto ritorno era più che sufficiente. Altri, come Zaeed e Samara, erano chiaramente altrettanto disinteressati, ma perlomeno non sbuffavano a distanza di cinque minuti o camminavano in circolo come animali in gabbia. Jacob era appoggiato al tavolo con entrambe le mani, i muscoli particolarmente tesi… teneva costantemente lo sguardo puntato su Thane, che invece non ricambiava affatto l’interesse, limitandosi ad osservare il pavimento. Quello che non sapeva, però, era il motivo per cui Jacob lo stesse osservando. Qualcosa di cui forse neppure l’ufficiale stesso si era reso conto.

La sera precedente non era riuscito a fare a meno di origliare le ultime frasi che Miranda aveva scambiato con l’assassino, poco prima di fare irruzione in cabina. Gli ci erano voluti un paio di secondi per inquadrare la situazione e altrettanti per convincersi effettivamente che avesse sentito bene. Mai e poi mai si sarebbe aspettato un comportamento simile da quello che considerava solamente un mercenario… anzi, avrebbe scommesso su tutto il contrario a dirla tutta. Sin da quando Krios aveva messo piede sulla Normandy, lui si era segretamente ripromesso di tenerlo d’occhio - questo lo sapeva persino Shepard - ma se in un primo momento aveva attribuito quella strana richiesta di lavorare senza compenso alla semplice volontà di cercare un modo dignitoso di morire, dopo la discussione con Miranda dovette semplicemente arrendersi al fatto che avesse sbagliato di netto sul suo conto. Quell’assassino non si trovava lì per soldi, o per la gloria… aveva deciso di unirsi a loro per un ideale nobile quanto il suo, e il solo pensiero lo portò a trasformare la diffidenza e il disprezzo in assoluto rispetto. Qualcosa che forse non avrebbe mai ammesso, ma che sapeva di provare nel profondo.

Se Thane avesse incontrato il suo sguardo, avrebbe trovato sorpresa e forse un pizzico di ammirazione in quegli occhi da umano, ma le uniche occhiate di cui sentiva realmente il peso addosso erano quelle di Miranda, che attendeva a braccia conserte da quando aveva messo piede in quella stanza, ed era stata la prima. Non aveva detto una parola per tutto il tempo e il suo viso sembrava pietrificato dall’indignazione. Chiunque si sarebbe aspettato una sfuriata plateale, per questo Jack aveva già scommesso cinquanta crediti con Kasumi, puntando su Shepard.

 

Quando Shepard arrivò, praticamente trafelata, l’equipaggio assunse una postura composta e rivolse lo sguardo su di lei, che a parte le evidenti ferite sul volto, sembrava non mostrare alcun segno di quei due giorni di totale assenza.

“Se vi ho riuniti tutti”, cominciò lei, senza perdere tempo, “è perché sento di dovervi delle spiegazioni”. Attivò con una mano il dispositivo olografico di fronte, sul quale iniziarono a prendere forma dei documenti e delle immagini piuttosto confuse. “Tutto quello che è successo nelle ultime ore, ci tengo a precisarlo, non era previsto. L’Alleanza si è rivolta a me in via del tutto confidenziale, chiedendomi un piccolo favore di natura personale. Si trattava di un’operazione semplice, di cui non vi avrei mai parlato, se solo adesso la notizia non fosse ormai di dominio pubblico”.

“Immagino che vi starete chiedendo come si è arrivati alla distruzione di un intero portale e del conseguente sterminio di un’intera colonia… se si sia trattato di un errore, di un atto terroristico o di qualcosa di più…”, proseguì, facendo scorrere le immagini fino al manufatto dei Razziatori nel laboratorio sull’asteroide.

“Shepard, quello è…”, tentò di chiedere Tali, puntando l’indice verso il centro della sala.

“E’ un manufatto dei Razziatori. Qualcosa di simile alla sonda trovata due anni fa su Eden Prime, ma di potenza sicuramente maggiore”, spiegò lei, ricevendo in cambio una serie di occhiate incredule.

“Una semplice missione di recupero si è trasformata in un disastro di enormi dimensioni solo a causa di quella sonda. La persona che dovevo recuperare, la dottoressa Kenson, aveva scoperto il manufatto mesi addietro, ipotizzando l’arrivo imminente dei Razziatori dopo aver ricevuto lo stesso tipo di visioni che ho avuto anche io su Eden Prime. Ha così dato il via al Progetto, un’arma in grado di distruggere il portale che avrebbe salvato la Galassia da un invasione che pressappoco sarebbe cominciata ieri. I Batarian l’avevano scoperta e imprigionata, ma nessuno sapeva cos’avesse organizzato, neppure l’Alleanza era a conoscenza di quella stazione”.

“E tu ti sei fidata, Shepard?”, la interruppe Garrus.

“Ho avuto una visione anche io, la stessa. E sì, sono consapevole che come la prima volta, anche adesso non servirà a nulla. Fino a prova contraria le visioni “mistiche” non sono ancora considerate delle prove da portare in tribunale… ma ho avuto ragione allora e ce l’ho anche adesso”, rispose lei, determinata.

“Le cose si sono complicate quando l’intero team e la stessa Kenson si sono dimostrati indottrinati. In effetti, l’idea che fossero stati a contatto col manufatto per tutto quel tempo non mi piaceva, ma dovevo saperne di più. Per farvela breve, quando hanno capito che io stessa avrei votato per l’attivazione del Progetto, mi hanno messa KO e sedata per circa 48 ore di seguito, prima che mi svegliassi quando mancavano solo due ore all’arrivo dei Razziatori. Questi erano stati i loro calcoli…”

“Ora… L’Alleanza non si aspettava minimamente un risvolto simile, e ben presto dovranno fornire una giustificazione ai fatti di ieri. Hackett salirà a bordo della Normandy fra qualche ora, ma non mi serve la sua conferma per sapere che ci sarà un processo. Però ci tengo a precisare una cosa… nessuno di voi era a conoscenza di cosa è successo, quindi nella remota ipotesi che qualcuno di voi fosse chiamato a deporre, fatemi il favore di rimanere in silenzio, dall’inizio alla fine”.

“Ma Shepard…”

“Nessun ma, Vakarian. E’ un ordine che non si discute”.

“E il Consiglio? Come pensi di…”

“A questo penseremo dopo. Abbiamo una missione da compiere. La distruzione del portale Alpha ci ha dato un vantaggio, ne sono convinta, ma finchè i Collettori continueranno a rapire i nostri coloni, ci saranno sempre loro in testa. Lo scontro con i Razziatori è solo rimandato, perciò vorrei che tutti voi vi concentraste sul nostro obiettivo, dimenticando questa discussione. Dovevate sapere, perché siete il mio equipaggio, ma il discorso finisce qui”.

Shepard si era appena voltata per uscire dalla stanza, lasciando l’equipaggio completamente incredulo, quando si fermò sui suoi passi. Si voltò, cercando lo sguardo di Miranda.

“Hai fatto un ottimo lavoro, Lawson”.

 

 

 

Miranda ebbe il coraggio di raggiungere Shepard solo una volta che lei fu davanti all’ascensore. Sul suo viso era sparita la frustrazione e la rabbia del giorno prima, sostituite da qualcosa simile allo sconcerto.

“Che significa, Shepard?”, domandò, stringendo le palpebre.

“Quello che hai sentito”, rispose lei, senza voltarsi, “né più, né meno”.

“Solo ieri mi hai…”

“Ieri, Miranda, avevo appena assistito alla morte di trecentomila persone… Perdonami se non avevo voglia di spiegarmi”.

“Sai della discussione che ho avuto con Krios?”

Shepard si girò verso di lei stavolta, guardandola negli occhi.

“So tutto, e sono contenta di come tu abbia gestito la situazione. Non avrei tollerato eroismi inutili. Omega 4 è l’obiettivo, la squadra è da salvaguardare, non io”.

Miranda non riuscì a rispondere, spiazzata da un discorso che non si aspettava minimamente.

“Ho già provveduto a contattare l’Uomo Misterioso, tu non devi preoccuparti di nulla. E semmai dovesse succedermi qualcosa, sono sicura che sapresti guidare questa squadra degnamente, l’hai dimostrato”, proseguì lei.

Miranda si limitò ad annuire. Un semplice “grazie” sarebbe stato troppo persino in quelle circostanze.

Shepard la tolse dall’impiccio di aggiungere altro ed entrò in ascensore per raggiungere la sua cabina, dove avrebbe iniziato a compilare il rapporto che Hackett avrebbe preteso quel pomeriggio stesso.

 

Aveva appena iniziato quando la curiosità prese il sopravvento: doveva assolutamente sapere come la notizia fosse stata gestita dai media, e ciò la portò immediatamente su Extranet.

“Il peggiore attacco terroristico degli ultimi tempi… Oltre 300.000 i morti sulla colonia di Aratoht, i Batarian pretendono giustizia… Voci non confermate parlano del coinvolgimento dell’Alleanza… I portali possono essere distrutti…”

Trecentomila morti. Leggerlo sul radar non era stato come apprenderlo da Extranet, sulle notizie corredate da immagini devastanti che erano solo un tentativo di ricostruire l’attuale condizione di un sistema attualmente irraggiungibile, ma ugualmente terribili. Aratoht era sempre stato un brutto posto, questo lo sapeva… più di due terzi della sua popolazione era formata da schiavi che lavoravano incessantemente nelle miniere, e forse proprio per questo nessuno di loro si sarebbe meritato una fine simile. Quanti umani rapiti in giro per la Galassia erano stati eliminati nello spazio di pochi secondi, insieme ai loro aguzzini? Non avrebbe mai voluto un peso simile sulla coscienza, soprattutto perché l’unica prova in suo possesso era qualcosa che non avrebbe mai convinto le ottuse personalità del Consiglio. Chiuse il suo terminale di botto, era già abbastanza doloroso leggere le notizie infiocchettate ad arte dai maledetti giornalisti, e soffermarsi sui commenti che la gente scriveva senza ritegno sarebbe stato ancora più insopportabile. Riprese a lavorare sul suo rapporto finchè non fu completo, preciso in ogni dettaglio. Era necessario che non tralasciasse nulla, perché a questo punto si trattava anche della sua carriera, oltre che della sua coscienza.

 

 

 

Veder salire Hackett a bordo di una nave di Cerberus – soprattutto visto che non si trattava di una nave qualunque – le sembrò incredibilmente strano. Lo stesso Ammiraglio non volle dare neppure uno sguardo alla Normandy, come se ci tenesse a non conservare alcun ricordo riguardo a quella breve visita. Giunsero in sala briefing* a passo svelto, lesinando sui formalismi. A quel punto Hackett pretese le ovvie informazioni e lei gli fece un breve resoconto di ciò che era successo, aiutandosi con alcune prove raccolte durante la sua permanenza sulla base scientifica della Kenson.

Osservò Hackett camminare con una mano sotto al mento, pensieroso, prima di schiarirsi la voce e parlare.

“Fosse per me, Shepard, le avrei dato una medaglia per quello che è successo”.

Era indubbio che l’Ammiraglio si fidasse di quel soldato e che credesse ad ogni singola parola del suo racconto, probabilmente perché la Kenson era riuscita a mettergli la pulce nell’orecchio, settimane addietro. “Ma la distruzione di quel portale ha sconvolto la comunità galattica, e francamente dubito che riusciremo a tenere sotto controllo i Batarian ancora per molto, visto e considerato il pessimo sangue che corre fra le nostre specie”, la guardò dritto negli occhi e fu certo che lei, in quell’istante, avesse già capito. “Posso prometterle che farò tutto ciò che è in mio potere per difenderla, Shepard, ma quando verrà il momento, anche lei deve promettermi che ci sarà”.

Shepard si passò una mano sul volto, stringendo eccessivamente la presa intorno al datapad. Rifletté brevemente per qualche secondo, poi decise che non avrebbe accettato tutto senza dire una parola, non sarebbe stato da lei.

“Mi sta dicendo che mi userete come capro espiatorio… è di questo che si tratta, non è vero?”, domandò a bruciapelo, cercando di mantenere il tono di voce più neutro possibile.

“Comandante, non possiamo mentire su quello che è avvenuto”.

“Ci andrò di mezzo soltanto io. Per questo avete scelto me… perché ero, e rimango, nella posizione di non poter danneggiare in alcun modo l’Alleanza, dal momento che il mio titolo non mi è mai stato restituito. Formalmente, io non sono più nessuno. Neanche il mio stato di ex Spettro può aiutarmi…”, disse.

“Shepard, la prego di calmarsi. La situazione non è così…”

“No, signore. Con tutto il permesso, non può chiedermi di calmarmi”, ribatté lei, stavolta con maggiore foga. “Perché non mandare una piccola squadra in incognito a salvare la dottoressa? Perché scomodarvi a chiedere aiuto a qualcuno che, di fatto, si è alleato ad un’associazione che molti, compreso l’Alleanza, considerano terrorista? Semplice, perché voi sapevate, perché in questo modo nessuna responsabilità sarebbe ricaduta su di voi… E così sarà, di fatto”.

“Mi dispiace, Shepard, ma non c’era altro modo. Lei è l’unico soldato di cui l’Alleanza si sarebbe fidata in qualunque situazione, e continuerà ad essere così. Potranno non voler sentire ragione al Consiglio, ma sia lei che io sappiamo che ciò che ha fatto è stato di vitale importanza. E lo sosterrò in qualunque momento”.

Shepard socchiuse brevemente gli occhi e inspirò a fondo, nel tentativo di ingoiare il rospo. Non riusciva a credere che l’Alleanza, ancora una volta, avrebbe fatto di tutto per far ricadere la colpa solo su di lei, esattamente come per la distruzione della Destiny Ascension due anni prima.

“Ad ogni modo, signore, qui c’è il rapporto…”, concluse poi, avvicinandosi all’Ammiraglio con il datapad in mano. Sapeva che nulla ormai avrebbe cambiato le cose e l’unica cosa che desiderava al momento era che Hackett sparisse dalla sua vista.

“Non è necessario, Comandante. Non ho bisogno di leggerlo per sapere che lei ha fatto la cosa giusta. Vada avanti per la sua strada, ma quando la Terra chiamerà… lei dovrà rispondere”.

Si osservarono per un’ultima volta in silenzio, mentre lei si limitò semplicemente ad annuire, poi Shepard lo accompagnò fino al portellone sul ponte di comando, e dovette costringersi a salutarlo così come l’Alleanza le aveva insegnato, nonostante avesse un’incredibile voglia di prenderlo a pugni… voglia che riuscì a soddisfare solo dieci minuti dopo, nell’hangar delle navette, dopo aver ordinato a Jacob di andare ad allenarsi da un’altra parte.

 

 

 

Eppure… eppure avrebbe dovuto sapere che c’era una precisa ragione se Hackett aveva scelto lei. Avrebbe dovuto avere la furbizia di capire cosa si celava dietro a quella richiesta così strana e personale, quanto inaspettata, invece di fidarsi ancora una volta e rischiare la propria vita per qualcosa che, in fondo, l’aveva di nuovo semplicemente usata. Evidentemente non erano bastati i mesi in cui il Consiglio le aveva dato ripetutamente della pazza, non erano bastate le accuse della stampa, non era bastato il fatto che, pur avendone le prove, ufficialmente i Razziatori venissero ancora considerati come una minaccia fantasma. E chissà, forse dopo la sua ricostruzione l’Alleanza l’aveva abbandonata al suo destino proprio perché sapeva che prima o poi si sarebbe resa nuovamente utile, in altri modi.

Abbandonata… era questa la parola che più di ogni altra sentiva le si addicesse in quel momento. Se davvero Hackett fosse stato sin dall’inizio pienamente consapevole di cosa lei avrebbe trovato su quell’asteroide, allora la sua richiesta diventava più di un favore personale, era quasi la richiesta di un sacrificio. Chiederle di farsi carico di tutte quelle morti, chiederle di portare sulle spalle il peso di un intero sistema andato completamente distrutto e poi chiederle di prendersi ogni singola responsabilità a proposito… davvero l’Alleanza poteva arrivare a tanto?

Quel vortice di pensieri la assalì fino a sfinirla, mentre il suo corpo era impegnato in un allenamento quasi violento ai danni di un logoro sacco da boxe. Era difficile resistere alla tentazione di scoppiare in lacrime, dopo quanto la sua mente le aveva suggerito, era difficile… ma allo stesso tempo era dovuto. Se si fosse lasciata andare proprio adesso, quale speranza avrebbe avuto di vincere quell’ultima battaglia?

Era sicura che poi avrebbe avuto tutto il tempo di fermarsi a riflettere su quanto accaduto, ma solo quando il peso di quelle riflessioni fosse cessato di essere una minaccia. Doveva essere lucida, e doveva esserlo per il suo equipaggio… per coloro che avevano creduto in lei tanto da non lasciarla indietro. Per Joker, che aveva deciso di rischiare alla luce di una minuscola speranza. Per Thane, che non avrebbe esitato a mettere a rischio la propria vita per lei. Per tutti gli altri, che avevano atteso il suo ritorno senza perdere la testa, e persino per Miranda, che era riuscita a sopportare il peso di quella sparizione con dignità.

Si fermò per un attimo ad asciugarsi la fronte solo quando un rumore alle sue spalle l’avvisò che qualcun altro aveva appena osato disturbarla.

“L’equipaggio è preoccupato”.

Sentire la voce di Thane la tranquillizzò quel minimo che bastava per impedirle di urlare di essere lasciata in pace.

“Al momento non è la mia priorità”, mentì lei senza voltarsi, dopo aver dato un sorso d’acqua. Si avventò di nuovo sul sacco da boxe, mentre Thane la raggiungeva.

“Sono preoccupati per te”, continuò lui, fermandosi a mezzo metro da lei. “Per ciò che succederà una volta finita la missione. E sono preoccupato anche io”.

Ammesso che vinceremo.

“Sono cose che non vi riguardano”.

Thane inspirò profondamente, evitando di dire parole che l’avrebbero fatta infuriare ancora di più. Non poteva pensare sul serio che il suo destino non l’avrebbe riguardato, lo sapeva.

Le si avvicinò, prendendola delicatamente per un polso, e mai avrebbe pensato che l’attimo dopo si sarebbe ritrovato a doversi fare da scudo con le braccia per evitare i suoi colpi.

Capì che probabilmente era quella la cosa giusta da fare, lasciarla sfogare su di sé, dandole qualcosa in grado di rispondere ai suoi colpi, a differenza di quel sacco malconcio. Per quanto avesse potuto provare piacere nel picchiare un oggetto inanimato, la soddisfazione di un vero scontro era l’unica cosa che l’avrebbe risvegliata davvero.

 

 

 

“Jack!”

La ladra si era precipitata nel rifugio della biotica in sala macchine, uscendo dall’occultamento solo una volta giunta a destinazione.

“Che vuoi, signorina scommetto-che-Miranda-stavolta-perde-le-staffe?”

“Questa devi proprio vederla… avanti, muoviti!”, la incitò l’altra, chiamandola dalle scalette.

“Se si tratta di nuovo di Grunt e Zaeed che si prendono a testate passo…”

“No, molto meglio! Andiamo… stavolta scommetto almeno cinquecento crediti su Shepard”, ridacchiò la ladra, catturando finalmente l’attenzione della biotica.

Jack sorrise, scendendo con un balzo dalla scrivania sulla quale era appollaiata.

“Alla fine Miranda ha deciso di sfogarsi come si deve?”, domandò, imboccando le scale mentre si sfregava le mani.

“Mi dispiace deluderti, ma stavolta Miranda non c’entra…”

Nel loro tragitto verso l’hangar si tirarono dietro anche Tali, che soffocò un “keelah” non appena furono adeguatamente nascoste in modo che nessuno avrebbe potuto vederle.

“Cinquecento sul Drell”, annunciò Jack con un ghigno, non appena capì su che cosa stessero scommettendo.

“Che cosa sta succedendo?”, sibilò Tali, cercando di farsi spazio fra le due.

“Non lo vedi? Se le stanno dando di santa ragione…”, esclamò la biotica, sghignazzando.

“Ma…”

“Shhh, giù!”, disse Kasumi, occultandosi. Le era sembrato per un attimo di aver visto Shepard guardare in loro direzione, ma l’istante dopo, fortunatamente, la vide di nuovo impegnata in tutt’altro genere di cose.

“Ouch”.

“Che c’è? Fatemi guardare!”

“Shepard ha appena atterrato Thane con un calcio, ehm, non proprio sportivo”, bisbigliò Kasumi. “No, aspetta… adesso lui ha atterrato lei”.

“A-ha… li sento già in tasca quei cinquecento testoni”.

“Pstt… fammi il piacere, Shepard si sta solo preparando per il colpo di grazia”.

“Tu dici? Io vedo solo che Thane gliene para uno dopo l’altro”.

“Argh! Ok, questo era un bel destro…”

“Dici che gli avrà spaccato il naso?”

“No, ma un labbro di sicuro si…”

“Perché non si fermano?”, domandò Tali all’improvviso, strattonando entrambe per le braccia.

“Shh!”, esclamarono le altre due in coro.

“Diamine… non voglio immaginare cosa combinino quei due a letto…”, sbuffò Jack, strappando una risata sommessa a Kasumi.

Tali si portò una mano a coprirsi il visore, ricolma d’imbarazzo. “Forse è meglio chiamare qualcuno… sono sicura che Garrus potrebbe farli ragionare”.

La ladra la afferrò per un braccio prima che potesse farsi scoprire. “Ma dai, non fanno mica sul serio. Zitta e goditi lo spettacolo”, ridacchiò.

“Oh oh…”

“Che cosa? Che succede?”

“Penso che Kasumi abbia appena perso la scommessa… Shepard non si rialza”, disse Jack.

“Forza Shep!”

Se la giapponese avesse potuto improvvisare un balletto con i pon pon, l’avrebbe fatto di sicuro.

“Ragazze… forse dovremmo andare…”, tentò nuovamente la Quarian. Non riusciva a capacitarsi di come, dopo quanto successo, quelle due avessero ancora voglia di perdersi in frivolezze.

“Aspetta…”

“Oh, questa poi… lo sapevo io che non sarebbe finita qui”.

Tali tentò di nuovo di sbirciare, riuscendo solo a scorgere una luce azzurra provenire dal basso.

“Quanto passerà prima che EDI inizi a insospettirsi?”

“Se continuano così, non molto…”

Il suono delle esplosioni biotiche era l’unica cosa che Tali riusciva a sentire da quella posizione, e tanto le bastò per metterla in paranoia.

“Ragazze… non vi siete proprio chieste il motivo di tutto ciò?”, domandò perplessa.

“No”, esclamarono le altre due all’unisono.

“Ah, bella mossa Shep… Dai, dai, dai…”

“Sta’ zitta, tanto manca poco per… un momento…”

“Cosa?”

“Stanno… che diavolo…”

Seguirono cinque secondi di silenzio e quattro occhi spalancati prima che la ladra si decidesse a parlare nuovamente.

“Beh, penso proprio che la scommessa è da considerarsi fallita”, annunciò poi, con evidente disappunto.

“E’ la seconda volta in una giornata, Kas… inizio ad infastidirmi. La prossima volta ci conviene scommettere su quanto sale metterà Gardner nella zuppa”.

“Già… beh, io tolgo le tende signorine… Ci vediamo a cena. Au revoir”.

Kasumi sparì, lasciando Jack e Tali da sole… e a quest’ultima la prospettiva non piacque affatto.

“Quarian, acqua in bocca, mi raccomando”.

Tali scosse il capo infastidita, ignorando tranquillamente quel modo di dire umano. “Non avremmo dovuto”.

“Ma ormai è successo, fattene una ragione”, sorrise Jack, e dopo aver tamburellato un paio di volte sul suo visore, se ne andò anche lei.

 

 

 

“Grazie”, ansimò Shepard, appoggiando la fronte sul suo petto.

“Quando vuoi”.

“Ci sono andata giù pesante…”, aggiunse, sollevando il capo. “Mi dispiace”.

“Non è niente”.

“Non direi”, rispose lei, passando delicatamente l’indice sulle labbra di lui. “Ti servirà un po’ di medigel”.

Thane sbuffò con un sorriso, prendendo la sua mano per posarle un bacio sul dorso. “Quando la smetterai di preoccuparti inutilmente per me?”

“Mai?”

Lui le scompigliò i capelli, prima di stringerla di nuovo a sè.

“Come stai?”, le domandò dopo un attimo di silenzio, sperando stavolta in una risposta sincera.

“A pezzi… Ma è comprensibile, no?”, disse lei, appoggiando la fronte alla sua. “Vorrei solo poter dimenticare tutto… tutto quanto”.

“In questo, almeno tu, sei fortunata…”

“Ti sembra il momento di fare battute?”, sorrise lei, accarezzandogli una guancia.

“In realtà sì, mi sembra il momento migliore”, replicò lui.

“Secondo quale criterio?”

“Hai detto che vuoi dimenticare… ma se non inizi a pensare ad altro, come puoi evitare di ricadere sempre negli stessi ricordi? Forse per noi Drell è diverso, ma io posso dirti cosa faccio quando non voglio ricordare cose spiacevoli”.

“Sentiamo…”, disse lei, mimando un’espressione scettica.

“Penso a te, penso a Kolyat quand’era bambino, penso alla prima volta che sono salito a bordo della Normandy, penso ai tuoi capelli sparsi sul mio cuscino, penso a quello che ho provato quando ti ho abbracciata, ieri…”, rispose lui, prendendole il volto fra le mani. “Penso alle cose che mi rendono più felice, e per un istante dimentico il resto”.

Shepard appoggiò il capo sulla sua spalla, facendosi stringere dalle sue braccia. Trovava incredibile quanto si fidasse delle sue parole, quanto gli sembrassero giuste anche se qualcosa, dentro di lei, continuava a ripeterle che meritava quella sofferenza… perché lei stessa l’aveva causata.

“Ci proverò”, mormorò debolmente, mentre il suo stomaco iniziava a farsi sentire in modo imbarazzante.

“Hai sentito?”, domandò all’improvviso, guardandosi intorno.

“Umh... sì”, rispose lui, senza capire il motivo di tanta apprensione. “Hai bisogno di mangiare, no?”

Lei abbozzò un sorriso scocciato, prima di tornare di nuovo vigile. “No, non mi riferivo a questo…”

“Sono solo i passi di qualcuno…”, commentò Thane, continuando a non capire.

Shepard si guardò intorno un altro paio di volte e poi lo trascinò dentro una delle navette disponibili, prima che lui potesse anche solo opporre resistenza.

 

“Perché siamo qui?”, le chiese lui stranito, mentre lei continuava a spiare fuori con fare apprensivo.

“Perché non voglio che ci vedano, mi sembra logico”.

Thane sollevò un arcata sopraccigliare. “E quale sarebbe il motivo?”

“Non mi va che l'equipaggio possa farsi strane idee”, rispose lei, abbassandosi di colpo quando scorse Gardner scendere dalle scale. “Che diamine ci fa Rupert quaggiù?”, imprecò.

“Probabilmente è andato a recuperare qualcosa nel magazzino”.

Il magazzino. Quel ricordo bastò per farla arrossire.

“Shepard...“, tentò di argomentare lui, “riguardo all'equipaggio... ho ragione di credere che sia ormai troppo tardi per nascondere la cosa”.

Lei gli lanciò un’occhiata perplessa. “Ma non intendevo quello. E’ che, beh... siamo qui, da soli, e tu hai ancora una ferita aperta”.

“Beh, dubito che qualcuno avrebbe mai insinuato che avessimo davvero fatto a botte”, rispose lui sorridendo appena. “E poi, perché t’interessa tanto?”

Shepard sospirò, passandosi una mano fra i capelli. Forse la tensione che aveva accumulato nelle ultime due ore era stata davvero troppa, persino per lei.

“Ok, hai ragione, ho dato di matto...”, ammise con una certa vergogna, iniziando a camminare in tondo nel poco spazio a sua disposizione.

“Che facciamo ora?”, domandò poi, voltandosi verso di lui.

“Dimmelo tu… Tu mi hai trascinato qui”, rispose Thane, quasi divertito dalla sua scenata.

“Va bene… aspetteremo che Rupert finisca le sue cose e poi usciremo”, disse lei, cercando di suonare ragionevole.

Dopo i primi cinque minuti di silenzio religioso, l'attesa sembrò essere diventata interminabile. L’unico rumore che proveniva da fuori era il fischiettare sommesso del cuoco, che con ogni probabilità stava intonando la stessa canzoncina che a Mordin piaceva tanto canticchiare durante i suoi esperimenti. Shepard prese a tamburellare nervosamente col piede, spiando di continuo in direzione del magazzino. Solo quando Thane attivò l'oscuramento dei vetri, lei si rese conto del madornale errore che aveva appena fatto, se poteva definirlo tale.

“Thane”, mormorò aggrottando le sopracciglia.

L'abitacolo era buio abbastanza per impedirle di notare la sua presenza immediatamente dietro di lei.

“Non credi che....”, si bloccò di colpo, chiudendo gli occhi in risposta alle labbra di lui sul suo collo, mentre sentiva le sue mani appropriarsi lentamente dei suoi fianchi. “Che…”

“Cosa?”, domandò lui in un sussurro.

Se avesse trovato facile rispondergli, mentre sentiva le mani di lui accarezzare la sua schiena da sotto la maglietta, probabilmente gli avrebbe fatto notare quanto fosse inopportuno e rischioso continuare a fare qualunque cosa stessero facendo in quel momento, ma ciò che usci dalle sue labbra fu solo un gemito strozzato… risposta della quale lui sembrò accontentarsi.

“Finirà male… me lo sento”, disse, appoggiandosi al vetro davanti con entrambe le mani per non sbilanciarsi.

“Male? Quanto male su una scala da zero a Omega 4?”, rispose lui, sfiorandole un orecchio con la punta del naso.

Lei sorrise, realizzando che, in effetti, quella missione riusciva a mettere tutto in prospettiva. Persino ciò che era appena successo le sembrò rimpicciolirsi a confronto.

"Hai davvero intenzione di...?"

Thane decise di non rispondere a quella mezza domanda, e preferì invece concentrarsi sulla sua maglietta. Gliela sfilò delicatamente, percependo nel frattempo la tensione che avvolgeva ogni suo singolo muscolo del suo corpo. Poi si fiondò di nuovo sul suo collo, respirando il suo odore come se fosse aria pura, lasciando scivolare le mani lungo il suo bacino.

"Avrei voluto poterti chiedere di fuggire con me dopo questa missione", le disse piano, "nel posto più lontano che riesci a immaginare.... dove nessuno avrebbe mai potuto trovarci". C'era desiderio nella sua voce, ma anche tanta malinconia, e qualcosa simile al rimpianto.

"Ma tu hai tuo figlio...", rispose lei, lasciandosi accarezzare dalle sue labbra lungo la spina dorsale.

"E tu sei l'unica speranza di questa Galassia", disse lui, facendola rabbrividire.

Era dolorosa quella consapevolezza, più di ogni altra cosa, persino più dell’incertezza del loro futuro… soprattutto ora che non c’era solo la malattia a dividerli, ma il peso di una condanna.

"E se decidessi di scegliere per me, una volta tanto? Sarebbe così sbagliato chiedere di avere una vita normale, chiedere di svegliarmi con te ogni mattina, lontani dalle quattro pareti metalliche di questa nave?"

Thane la prese per la vita e la fece voltare verso di sé, annullando le distanze con una mano, premuta sul vetro dietro di lei. Era buio, ma i suoi occhi brillavano di una luce che lei avrebbe riconosciuto tra mille. "Non sarebbe sbagliato”, disse, “...ma è questa la vita che hai scelto, è questo che ti fa sentire viva… quello che fai, quello che sei, quello per cui combatti. E tu lo sai".

"Tu mi fai sentire viva", ribatté lei, avvicinando le labbra alle sue.

"Io non ci sarò per sempre..."

Lei dovette distogliere lo sguardo per reggere ancora una volta il peso di quella frase, e proprio in quell’istante, mentre tentava di convincersi che forse ci avrebbe fatto l'abitudine, iniziò a capire che nulla di quel momento sarebbe mai potuto essere sbagliato... il solo averci pensato, prima, la fece infuriare con se stessa, per quella e per ogni singola opportunità che aveva gettato alle ortiche, per quelle ore dopo Aratoht durante le quali aveva preferito rinchiudersi in bagno a compatirsi, per quella notte su Telmum, quando aveva deciso di non meritare nulla di ciò che il tempo e il destino le stavano offrendo, per tutte le sere passate a rimuginare senza trovare il coraggio di parlare, di spiegarsi, di dirgli quanto lui fosse dannatamente essenziale per lei... Perché ci arrivava solo adesso, solo ora che le loro vite erano così pericolosamente vicine al baratro?

 

Il bacio che si scambiarono fu il più dolce fra quelli che lei avrebbe ricordato, perché nasceva dall'assoluta certezza che entrambi conservassero nel cuore il medesimo sentimento e che lo stessero condividendo in ogni singola sfumatura, con la stessa devastante intensità. Avevano deciso di prendersi per mano e di fare quel salto nel vuoto, ma solo ora imparavano a volare insieme, fianco a fianco... a compensare gli squilibri dell'altro con un battito di ali più forte, a sostenere il peso altrui senza perdere la propria stabilità. Thane ripensò al mito di Andromeda e Perseo, arrivando alla conclusione che se anche Perseo avesse perso le sue ali, ci sarebbe stato qualcos’altro a consentirgli di spiccare il volo, qualcosa che avrebbe trovato solo in fondo agli occhi di Andromeda, qualcosa che lui stesso trovò in fondo a quegli occhi... qualcosa che diventò parole e si bloccò all'altezza della gola, prima di tornare a nascondersi nel posto più sicuro.

 

Quando sciolsero il bacio, si sentirono quasi divisi a metà, come se qualcuno avesse all’improvviso tolto loro l'ossigeno. Si specchiarono nei rispettivi occhi, lasciando alle loro mani il compito di eliminare tutto ciò che era ormai superfluo... vestiti, scarpe, ciocche di capelli davanti al viso, armi nascoste nelle giacche perché “non si sa mai”...

Sembrò diventare improvvisamente tutto più stretto, c'erano gomiti che sbattevano sugli spigoli, labbra che si scontravano, unghie che graffiavano la pelle dei sedili, ma anche risate, e respiri spezzati, e frasi in lingue sconosciute che venivano sussurrate piano in un orecchio.

Non c’era più spazio per i sensi di colpa, per le sconfitte, per la paura… quei sentimenti avevano già tolto ad entrambi così tanto che fu quasi doloroso separarsene, ma lo fecero con decisione, lasciando tutti i problemi fuori da quello shuttle, come se fosse stato davvero possibile creare un paradiso artificiale all’interno di muri di metallo e plastica.

Shepard catturò le sue mani, imprigionandole dietro la sua schiena... disegnò con le labbra ogni linea del suo corpo, come a voler imparare a memoria quella mappa, e si nutrì dei suoi respiri, che cambiavano quando lei cambiava. Si erano conosciuti, si erano scoperti, ma ora si comprendevano e potevano anticiparsi, esattamente come succedeva sul campo di battaglia.

Thane la sollevò, lasciando che lei intrecciasse le gambe dietro la sua schiena e si aggrappasse con le mani alle maniglie sul soffitto dell'abitacolo. Il sapore della sua pelle, il modo in cui reclinava la testa all’indietro persa nelle sensazioni che lui le stava regalando, il suo nome sulle sue labbra, come un sussurro appena accennato... Avrebbe portato per sempre con sé ogni istante, ogni frammento di lei, e con quella consapevolezza decise di abbandonarsi, di perdersi dentro di lei come non aveva mai fatto... perché sapeva che la vita, quella che adesso non avrebbe mai voluto abbandonare, non era fuori, era in lei, era in fondo ai suoi occhi, e li l'avrebbe trovata... li avrebbe finalmente ritrovato se stesso.



 

 

 

 

 

*L’incontro fra Shepard e Hackett in infermeria è un altro di quei dettagli dell’Avvento che non digerisco. Soprattutto perchè avrebbe cozzato con la versione personale che ho dato io a questa missione, che tutto sommato spero risulti credibile.

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